Articoli


ASSOCIAZIONE GRADIVA
Bambino pongo

Genitori omosessuali perché no?! - ARTICOLO

Guariamo quando siamo amati e quando amiamo gli altri. Non guariamo fondando una società segreta di cui siamo i soli membri, rimuginando incessantemente sull’“altro” che potremmo ammettervi, per poi restarne inevitabilmente delusi.
J. Winterson - Perché essere felici quando puoi essere normale?1

Sappiamo quanto il tema della genitorialità possa essere di per sé difficilmente delimitabile, chiamando in causa il diritto sì biologico, ma anche quello sociale, culturale e affettivo e infatti le famiglie da sempre si sono mosse all’interno di geometrie variabili: monoparentali, adottive, omogenitoriali, ricombinate, allargate, ecc. Inoltre il progresso scientifico e lo sviluppo di nuove tecniche di inseminazione hanno consentito uno svincolo dall’obbligatorietà che legava la sessualità al concepimento e quindi alla genitorialità e oggi una famiglia può dirsi tale non solo per effetto “naturale”, ma anche, e soprattutto, per il legame affettivo e sociale che ne tiene uniti i membri. L’amore, che per secoli è apparso come qualcosa di desiderabile più che di fondamentale nella famiglia, ora diviene prioritario e può guidare la scelta della costituzione del nucleo. Certo rimettendo però quest’ultimo alle logiche del sentimento, che per loro natura sono incerte e mai garantite. Questa potrebbe essere la ragione per cui nel tempo i legami hanno invocato la legge, come dipinti impreziositi e contenuti nelle loro cornici, hanno richiesto e richiedono garanzie normative per tenere insieme e proteggere le delicate affinità. La psicoanalista parigina Marie-Hélène Brousse, interrogata sull’aspirazione al matrimonio delle coppie omosessuali, riporta che «l’amore non sempre permette la permanenza nello schema in cui vive il soggetto, e gli omosessuali rivendicano questo schema, questa garanzia». Ancora più importante appare un riferimento legislativo quando donne e uomini omosessuali diventano genitori e la loro esperienza non può essere più trascurata, anzi merita conoscenza e attenzione, "perché negarla o cacciarla nell’oscurità andrebbe a danneggiare loro e i loro figli "(Lingiardi, 2013)2.

I governi in linea con questo progresso civile hanno approvato leggi mirate a riconoscere diritti e dignità sociale a persone dello stesso sesso, che decidono di sposarsi e costruire una famiglia. Nel tentativo di definire uno status e delle libertà già costitutive, è stato coniato il termine same-sex parenting (omogenitorialità) per far riferimento a sistemi familiari nei quali è presente un solo genitore omosessuale o due genitori dello stesso sesso. Tuttavia, l’idea che questi nuclei possano offrire una competenza genitoriale adeguata continua a suscitare perplessità e, nel peggiore dei casi, ostilità. La maggior parte delle contrarietà viene sollevata dai movimenti religiosi e conservativi, tra questi ultimi anche un filone vetero-psicoanalitico di terapie “riparative”, i cui assunti sono però stati confutati dallo stesso Freud quando, già un secolo fa, sosteneva: «l’impresa di trasformare un omosessuale in un eterosessuale non offre prospettive di successo migliori dell’impresa opposta» (Freud, 1920). Anche la Chiesa sembra aver aperto la tradizionale legge “naturale”, che lega uomo e donna nel sacramento della famiglia, al dialogo con le realtà sociali in evoluzione. Le recenti dichiarazioni del Papa, riportate da un documentario di Evgeny Afineevsky3, sembrano proprio ammiccare ad un disegno divino della famiglia che inizia a comprendere anche le coppie omosessuali. «Le persone omosessuali sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia» ha affermato il Papa, il primo esponente dell’altissima autorità morale ad essersi espresso a favore del riconoscimento delle unioni civili. Sebbene in Italia la sua sollecitazione suoni anacronistica (perché una legge sulle unioni civili è già vigente) è un appello da valorizzare in quanto secondo il report dell'International Lesbian and Gay Association Europe 2020 l’Italia è ancora fanalino di coda (35esima sui 49) dei paesi Europei, presi in considerazione in merito ai diritti delle persone LGBTQI+4.

Studi accreditati e scientifici a favore dell’omogenitorialità, quando non restano vox clamantis in deserto, fanno infatti fatica ad essere concepiti, sembra forse più semplice lasciare le coppie omosessuali “inconcepibili”. Nel 2016 nell’ambito del dibattito sul disegno di legge Cirinnà, l’Ordine degli Psicologi del Lazio (e quello dei Pediatri5 prima ancora) ha per esempio presentato in Senato un dossier di 70 studi condotti tra il 1972 e il 2015 in cui è stata dimostrata la mancata connessione tra genere sessuale dei genitori e specifici disagi del minore. Dal dossier emergeva come «non ci siano differenze significative tra genitori biologici e sociali per ciò che riguarda l’autostima, l’impegno posto nella relazione o il modo in cui viene percepito il bambino» e che «l’assunzione secondo cui bambini cresciuti da madri omosessuali tendano a diventare a loro volta lesbiche o gay non è supportata da alcuno studio». Si tratta di una disamina che evidenzia, con prove scientifiche chiare, come la questione dell’omogenitorialità sia oggi più che mai strumentalizzata. «Non esiste alcuna evidenza che i bambini necessitino di una madre e di un padre per crescere bene» si legge infatti tra i risultati emersi da uno degli studi raccolti, «ciò che conta è la qualità delle cure genitoriali ricevute». Nonostante ciò la legge n.76 Cirinnà, se da una parte è riuscita a regolare le «unioni civili tra persone dello stesso sesso» e le convivenze di fatto come «un istituto che riguarda sia coppie omosessuali che eterosessuali composte da persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi», non comprende e prevede la stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner, che rimane ad appannaggio solo delle coppie eterosessuali. La mancanza di una legislazione unitaria a livello nazionale favorisce pertanto una precarietà dei legami e mina la sicurezza parentale, lasciando ogni singolo caso come una causa a sé stante, la cui gestione ricade nelle mani dei vari tribunali dei minori e dalle singole amministrazioni comunali. I Comuni possono per esempio rifiutarsi di trascrivere gli atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali e, quando fatte, queste trascrizioni possono comunque essere impugnate dalla Procura per essere contestate. Sempre nel 2016 la New Yorker Columbia University ha deciso di analizzare 77 ricerche sull’omogenitorialità pubblicate dal 1980 ad oggi per risalire all’opinione generale degli esperti. Nel presentare il proprio resoconto, l’Università ha dichiarato che nel loro insieme gli studi formano «un consenso accademico schiacciante sul fatto che avere un genitore gay o una genitrice lesbica non danneggi i bambini».

Questa è una parte dell’immane mole di studi che rassicurano sulla qualità di tali legami, ma nonostante ciò continuano a esserci voci che diffidano e contestano, portando come avallo delle loro tesi pochi studi divenuti famosi più per le loro importanti criticità metodologiche e opacità politiche, che ne inficiano l’affidabilità e la validità.

Le riviste scientifiche ci dicono che l’omosessualità non è una qualificazione della genitorialità, ma una delle condizioni entro cui la genitorialità può essere esercitata6. Se, come ha osservato Antonino Ferro7, “il mentale” sposterà sempre più sullo sfondo “il biologico”, svincolando l’esercizio delle funzioni genitoriali da una coerenza biologica, avremo sempre più a che fare con funzioni: la funzione materna e la funzione paterna che potranno essere esercitate in modo non necessariamente coerente con l’appartenenza biologica al genere femminile e maschile.

Tenendo conto degli elementi complessivamente emersi dagli studi, ad oggi l’unico dato che si pone a sfavore dell’omogenitorialità sembrerebbe essere rappresentato dall’impatto negativo che le esperienze di stigmatizzazione omofoba (Tasker, 20108) potrebbero avere sul benessere psicologico dei bambini. Tali esperienze di minority stress, tuttavia, non dipendono strettamente dall’omogenitorialità, ma dalla sensibilizzazione e dall’accettazione sociale. Weinberg (1972) ha definito questa tendenza con il termine omofobia per descrivere l’irrazionale paura di trovarsi in presenza di omosessuali e le reazioni di avversione, discriminazione, intolleranza e odio nei loro confronti, che hanno origine nel pregiudizio. Essa, come le altre forme di fobia, è un’evidenza clinica, un limite della persona che la prova.

Se la nostra legislazione con l’art. 21 della Costituzione garantisce la libertà di manifestazione del pensiero, allo stesso tempo con la legge Mancino sanziona e condanna i crimini di odio contro religioni ed etnie, riuscendo ad assicurare un’espressione delle libertà senza che queste trovino deviazioni violente e pericolose per quelle degli altri. Per quanto riguarda l’omotransfobia il disegno di legge Zan ha proposto di estendere le protezioni, attualmente in vigore per le etnie e l’orientamento religioso, all’orientamento sessuale e all’identità di genere, incontrando però oppositori nei corridoi della politica, che ancora oggi non ne consentono una praticabilità.

Possiamo ipotizzare che i bias cognitivi sottesi a questo genere di resistenza possano essere di due tipi: il primo, favorito dagli agi della pigrizia, che non osa mettere in crisi o in discussione un ordine precostituito conosciuto e rassicurante; il secondo che immagina un diritto o una tutela offerta all’uno, come un limite o un “bavaglio” dell’espressione dell’altro.

1. Discutendo il primo atteggiamento, sappiamo come una società ossessionata dal rispetto indefesso delle regole possa essere debitrice di una fantasia di cancellazione delle differenze. Le regole uniformano e omologano, ma sono anche l’espressione della classe e del pensiero dominante e vengono considerate “giuste” finché sono aperte ad una prospettiva problematizzante e dialogica con la realtà. Una posizione più attiva e partecipata dovrebbe essere quella auspicabile e quella a cui veniamo chiamati per alimentare quel processo di coscientizzazione di cui parla Paulo Freire9 (1971), celebre teorico dell’educazione.

2. La seconda e più spinosa questione potrebbe invece avere a che fare con l’invidia. La Klein10, partendo dall’etimologia del termine, ricorda che tipico di chi prova invidia è lo sguardo obliquo che guarda dentro (in-videre), un vedere, che con il suffisso illativo ‘in’, si carica di negatività e non riesce a guardare il suo “oggetto d’amore”. L’effetto dell’invidia non è infatti la realizzazione di un proprio desiderio, quanto piuttosto che gli altri non realizzino il loro, ovvero togliere all’altro qualcosa di valore che possiede o potrebbe possedere. A seguito di un’esposizione a situazioni penose o deprivanti si può sviluppare un atteggiamento guidato, da quello che i clinici della Control Mastery Theory, definiscono “senso di colpa del sopravvissuto”: un sentimento di indegnità a godere di più privilegi o diritti di chi non ce l’ha fatta. Compiacere questa credenza distorta e patogena fa sì che sentirsi più sani, più felici o avere più successo degli altri, significhi in qualche modo “togliere agli altri qualcosa” oppure, nei casi di identificazione con chi perpetra tale credenza, porta all’atto invidioso, cioè a credere che gli altri siano cattivi quando e se si concedono più possibilità di quante riusciamo a permetterci noi. Questo odio è determinato proprio dal senso di ingiustizia che l’invidioso prova e di impotenza a trascenderla, lasciando le persone isolate. Il senso di ammirazione “voglio arrivare in alto dove sei tu” si distorce nella realtà pratica in “voglio tirarti in basso dove sono io”. L’antieconomicità e l’indebolimento di tale vizio sta nel non ammettere il conflitto e la sconfitta, proprio perché pratica una continua e logorante subdola lotta contro l’altro. La logica di considerare le libertà dell’altro come una limitazione, comporterebbe che per ogni ostacolo eliminato, se ne presentino altrettanti che continueranno ad essere vissuti come opprimenti. Rincorrendo così una concezione sbagliata di libertà, simile a quella di Ercole che tenta disperatamente di uccidere l’idra e, per ogni capo decapitato, per ogni limitazione eliminata, se ne ritrova con altre due pronte a riportarlo in gabbia.

Per la Klein l’esperienza e l’interiorizzazione di altri e nuovi oggetti d’amore affidabili e costanti permetterebbe di “controbilanciare tali impulsi distruttivi”, guidando le risorse dell’Io non tanto a fronteggiare l’odio, ma ad una costruzione positiva della vita, nonostante l’odio subìto o provato. «Fintanto che il rapporto stabilito con dei nuovi oggetti costituisce un sostituto dell’amore per la madre e non soprattutto una fuga dall’odio nutrito per lei, i nuovi oggetti sono utili e compensano l’inevitabile sensazione di perdita dell’unico primo oggetto». Si impara così a riconoscere come la nostra libertà possa essere anche quella dell’altro e viceversa.

Se le nuove generazioni crescono nella prospettiva di un campo psichico, nel quale i costrutti di genitore, non sono, necessariamente, sinonimi di madre e padre, ma sono definiti dalle competenze genitoriali e dalle caratteristiche di personalità degli adulti in scena, sarà solo un’altra manifestazione di ciò che Matte Blanco11 aveva già desunto dai suoi studi tra psicoanalisi e matematica «l’inconscio non distingue il maschile dal femminile». E pertanto lo sviluppo dei figli di coppie omosessuali continuerà ad essere del tutto paragonabile a quello delle coppie eterosessuali12, saranno piuttosto gli atteggiamenti genitoriali ad avere un peso e a giocare un ruolo diverso a seconda dell’autorità esercitata. Per esempio la forza strutturante il complesso edipico potrebbe non risiedere tanto nella possibilità di identificazioni sessuali con specifici corpi sessuati, quanto piuttosto nella possibilità di trovare il proprio posto all’interno della scena familiare. Più di ogni altra cosa, l’Edipo chiama in causa un gioco di posizioni, pensiamo al passaggio dal rapporto diadico a quello triadico, in cui il bambino è interessato a risolvere un mistero, a entrare in possesso di un segreto, dal momento che per lui i genitori posseggono e si scambiano dei segreti, provocandogli un senso di esclusione.13 La funzione solitamente affidata al paterno, rivestita da un partner omosessuale, deve perciò creare al bambino il dilemma della condivisione, per consentire un’integrazione triangolare. La genitorialità è dunque una scelta complessa, coraggiosa e di grande valore per l’individuo e per la società e richiede un esame accurato di altre qualità che prescindono dall’orientamento sessuale dei genitori, più che degli aggettivi «etero» e «omo» è importante parlare di genitorialità, che in entrambi i casi può essere buona o cattiva. Così come viene meglio sostenuto dall’ex presidente della Società Psicoanalitica Italiana: «che ben vengano bambini di coppie che si amano e che siano capaci di buoni accoppiamenti mentali. Non sarà il sesso biologico dell’uno o dell’altro ad aver più peso ma le attitudini mentali dell’uno e dell’altro. I figli li faccia chi ha voglia di accudirli con amore. Ciò che conta in fondo è che ogni bambino abbia il suo presepe, la sua festa, che sia accolto e amato come un prodigio» (Ferro, 2013).


Note
  1. Winterson J. (2012) "Perché essere felici quando puoi essere normale?" Ed. Mondadori.
  2. Lingiardi V. (2013) "La famiglia inconcepibile" in Infanzia e Adolescenza Vol. 12, n. 2, 2013.
  3. Il docufilm “Francesco” del regista russo candidato anche all’Oscar, è stato proiettato al Festival del Cinema di Roma e insignito del premio Kinéo.
  4. Abbreviazione di Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Questioning (or: Queer), Intersex.
  5. https://27esimaora.corriere.it/articolo/si-cresce-bene-anche-con-genitori-gayecco-i-risultati-di-30-anni-di-ricerche/
  6. Fruggeri, L. (2011), Genitorialità: dall’attribuzione di un ruolo all’esercizio di una funzione. In A Gigli (a cura di), Maestra, ma Sara ha due mamme? Le famiglie omogenitoriali nella scuola e nei servizi educativi. Milano: Guerini Scientifica, 66-77.
  7. Ferro, A. (2013), Nel presepe moderno anche le coppie gay. Corriere della Sera, 6 Gennaio 2013, 33.
  8. Tasker, F. (2010), Same-sex parenting and child development: Reviewing the contribution of parental gender. Journal of Marriage and Family 72: 35 – 40.
  9. Freire P. (2011), La pedagogia degli oppressi, ed. Gruppo Abele, Torino.
  10. Klein, M. (1957) Invidia e Gratitudine, Ed. Giunti, Firenze.
  11. Matte Blanco I., L’Inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica,Torino, Einaudi 1975
  12. Lingiardi, V. (2007/2012). Citizen gay. Affetti e diritti. Milano: il Saggiatore

ASSOCIAZIONE GRADIVA

Associazione di ricerca e intervento per l'interazione sociale in Psicologia Clinica e Psicoterapia

STUDIO DI ROMA - TUSCOLANA

Via Claudio Asello 49

00175 Roma

simbolo metro A Lucio Sestio

STUDIO DI OSTIA

Via Ammiraglio Marzolo 42

00122 Roma Lido

simbolo Roma lido Lido Ostia Centro

CONTATTI

  320 3494839  

  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Clicca per chattare